Ci sono stati vari tempi del mio andare in Montagna. Il tempo della velocità e quello del passaggio chiave, il tempo dei rifugi e quello delle vette, il tempo delle vie attrezzate e delle ferrate. Questi "tempi" hanno scandito la mia vita, testimoni e compagni di altre vicissitudini e del passare degli anni. Oggi, eccomi qua alle prese con il tempo della consapevolezza, della montagna lenta e delle vie normali. Talvolta però i "vecchi tempi", mentre passo dopo passo percorro il sentiero, si ripresentano, ed io non oppongo resistenza.

Benvenuti, comunque la pensiate, su VIA NORMALE

28 marzo 2008

UN SIMBOLO

In un blog dove si scrive di montagna, si parla di montagna e si mostra la montagna può sembrare strano questo post. Mi piace pensare però che un uomo di montagna non viva racchiuso nel suo mondo fatto di cime, sentieri, rifugi, avulso e lontano dai fatti del vivere quotidiano. Prendiamo decisioni, facciamo scelte , difendiamo il nostro punto di vista, ci battiamo per una causa, professiamo un credo; in questo io vedo la connessione: la Montagna come metafora della vita.

Il “No alla guerra” compie 50 anni - così nacque il simbolo della pace L’omino disperato che abbassa le braccia, ma che non si arrende di fronte all’idiozia della guerra, il simbolo inerme che terrorizza gli armati, falchi, guerrieri, prepotenti, commissari e generali compie cinquant’anni e se disperato sempre rimane, ancora non si è stancato di combattere.
Era nato, molto opportunamente, un venerdì santo come questo, nel giorno che commemora il massimo sacrificio di un portatore inascoltato di pace, ma non era nato negli Stati Uniti che lo avrebbero poi imposto al mondo scarabocchiato, cucito o appuntato alle divise della protesta per l’ennesima inutile strage, quella volta in Indocina. Era nato a Londra, a Trafalgar Square, nella marcia delle cinquanta miglia organizzata nel 1958 dai pacifisti inglesi per protestare invano contro il riarmo nucleare britannico.
Come figlio di una potenza dei mari, fu quasi naturale che quel simbolo avesse ricavato la ispirazione grafica proprio dalle segnalazioni marine che le navi si scambiavano sventolando bandierine, prima che fossero introdotti i semafori per i messaggi in morse luminoso, le radio e i collegamenti satellitari. La “V” rovesciata che sta alla base dell’emblema è in realtà la lettera “N”, nella segnaletica marina, la iniziale di “Nuclear” e la linea eretta verticale sta per la “D”, di disarmo. Dunque la figura completa vuol dire semplicemente “Nuclear Disarmament”.
Fu creato da un grafico, racconta la Bbc che ha ricostruito la storia di questo “marchio” divenuto talmente universale da apparire orfano, come se fosse stata la creatura spontanea di un tempo e di una ribellione. Si chiamava Gerard Holton, ed era stato obbiettore di coscienza durante la Seconda Guerra Mondiale, finita appena 13 anni prima. Convinse lui gli organizzatori della marcia delle 50 miglia che la loro manifestazione esigeva un logo, un marchio, qualcosa che si appiccicasse agli occhi e alla memoria. Pensò a una variazione sul tema della croce cristiana, ma gli parve già molto sfruttata e non necessariamente associata alla pace, nei secoli bui. E alla fine ripiegò sulla combinazione dei due segnali navali, per dire “No alla Bomba” e sì al disarmo nucleare.
Neppure lui avrebbe potuto sperare che quel simbolo si sarebbe attaccato alla fantasia del mondo diventando immediatamente leggibile e riconoscibile dal Tibet all’Arabia Saudita, dove ancora compariva sugli elmetti dei soldati americani pronti a invadere Iraq e Kuwait nel 1991.
L’omino disperato invase l’America, dalle strade della San Francisco hippy della “estate dell’amore” ai motoscafi dei soldati lungo il Mekong in Vietam. Occupò le marcie di Woodstock, si fuse con il Sessantotto, divenendone uno dei luoghi principali. Terrorizzò il governo del Sudafrica negli anni dell’Apartheid razziale, che tentò di dichiararlo ufficialmente fuorilegge con prevedibile insuccesso, perché nella sua assoluta semplicità grafica basta un pennarello, una bombola, una matita grossa per essere riprodotto all’infinito. Lo ripresero gli attivisti neri dei diritti civili, per indicare subito, con Martin Luther King, la loro filosofia di rivolta non violenta e di rifiuto di armi e sangue, rifiuto che non fu accolto da chi sparò loro addosso. Costrinse generali e ufficiali superiori a inseguire i soldati che lo esibivano, vedendovi un segno di scarsa bellicosità, di dissenso, di ammutinamento pacifico: in Vietnam era passibile di punizioni fino alla corte marziale, quando ancora era esibito da pochi renitenti, prima che divenisse troppo diffuso per essere represso senza mandare davanti alla corte intere divisioni di Marines e fanti. Finì su un pacchetto di sigarette molto fumate dai soldati americani, le Lucky Strike e nessuno osa calcolare quante volte e dove sia stato riprodotto in questi 50 anni, tra T-shirt e bandiere.Su quella figura che segnala disarmo, invece, non ci possono essere dubbi. Si può dissentire, addirittura fare causa a chi la espone in giardino, come è accaduto a una coppia di Denver, giudicarla ormai leziosa, demodé, inutile, ora che l’incubo del reciproco annientamento nucleare, così intenso nel 1958, ha lasciato - temporaneamente - la poltrona ad altri incubi elettoralmente più profittevoli. Ma come l’indice e il medio aperti a “v” di Churchill, anche questa curiosa ipsilon rovesciata che né il creatore inglese, né il suo corrispondente americano Ken Kolsburn vollero mai depositare e brevettare, rinunciando così a miliardi di royalties, vivrà ogni volta che l’umanità con un pretesto politico, religioso, economico, razziale, troverà un altro modo per massacrarsi. Cioè per sempre, il che spiega l’aria un po’ moscia e depressa dell’omino cinquantenne, ma ancora in piedi.

(articolo di V.Zucconi- la Repubblica 21.3.2008)

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